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Girare il mondo è un atto di fede

Di Giorgio Barassi

Girare il mondo è un atto di fede - Giorgio Barassi

Difficile svincolarsi dal debito che abbiamo con Tonino Caputo. O meglio. dal debito che ha soprattutto certa Pittura chi ritorno, che cerca di guardare e provare a rifare oggi quello che Caputo analizzava tempo fa. Perché negli anni ottanta del ventesimo secolo, a seguire uno dei suoi viaggi verso gli Stati Uniti, cera voglia irrefrenabile di cambiare, che a Tonino è costata sempre cara. Aveva cominciato a dipingere vecchie fabbriche in disuso, fabbricati romani immortali e pieni di mistero, aveva voglia di aria nuova. Quella voglia determinava la sua convergenza verso la “nuova metafisica”, una maniera di dipingere che Caputo provava e Fortunato Bellonzi benediceva, convincendolo a proseguire. Il debito è con questa intuizione felice, nata prima che il modernariato e la passione vintage toccassero città e modi di vestirsi, oltre che locali di tendenza e show room in tutto il mondo. Un debito di riconoscenza verso un ragazzaccio sfrenato che non smette di viaggiare e che senza viaggi starebbe male. Debito di passione ed affetto verso la pittura italiana di quei pochi e coerenti artisti che hanno sempre pagato di tasca propria ogni sfuriata, ogni dissenso, ogni espressione dell’essere serenamente contro. A guardare oggi le prime New York di Caputo, pare di essere dentro ad un aria tutta inventata. A un azzurrognolo mondo fatato. Era, ed è anche una carezza umana a quella belva di città, a quel mondo diverso da Lecce o da Roma. Un omaggio a quella grandiosità raccolta come in una cornice di silenziosa e ironica bellezza. Per Caputo, sempre pronto a mettersi in gioco, la nascita delle opere dedicate ai ponti degli Stati Uniti, al loro troneggiare ferroso, è una scommessa quotidiana. Sembra che, nonostante le attuali e piacevoli notizie che parlano di ponti americani dichiarati monumento nazionale, Caputo voglia dipingerli tutti, con la sua irruenza migliore, come se fossero appena nati. Lo ha fatto per primo, ha lanciato il suo guanto di sfida prima di altri. È evidentemente suo compito essere IL primo, arrivare dove altri arrivano solo ora. Lo ha fatto molti anni fa in sperimentazioni che oggi sono meravigliosamente attuali, lo fa e lo farà ancora, per dribblare con un, pernacchia una parte del suo destino d’artista.

Il rosso di quei ferri, che sia Sidney, Londra o, come più frequentemente accade New York City, avvolto dall’aria delle opere silenziose e nitide, sottolinea quel suo essere naturalmente avversario di ogni banalità. La pittura, si dice e si è sempre detto, ha bisogno di abiti nuovi, di idee. Lo diceva anche chi ha visto 1 suoi ponti, anni fa, e non ha smesso di incantarsi in quel silenzio irreale e possibile, tra le maglie della metropoli. Aggrappato alla sua capacita di sognare, Caputo entra nel cuore di New York, tra i passanti di razze e lingue diverse, col passo del viaggiatore uso a non scoraggiarsi mai, del viandante che pare uno del posto, anche quando ha messo piede per la prima volta tra Manhattan e Brooklyn. Girare il mondo é un atto di fede verso la sua insostituibile voglia di libertà. Fa niente se quella autonomia gli é costata e gli costa ancora. Se, senza un attimo di esitazione , ha mandato a quel paese, colorando il tutto con il dialetto leccese migliore, personaggi in vista, direttori di musei, mercanti in malafede, colleghi artisti (tra cui Schifano) e perfino il suo amico Carmelo Bene. Questo é, e sara sempre, Tonino Caputo. Magari uno dei ponti di New York o di un altro posto del mondo finito nelle sue opere, gli servirà per sedersi sul punto più alto e urlare al mondo che non ha mai accettato compromessi, che per lui la pittura è un fatto di emozione € di ragione insieme e che I’arte è sempre stata la sua passione, come la libertà. Per pagare il nostro debito con lui, che ha vissuto la vita senza sconti di sorta, bisognerà entrare con rispetto nel suo mondo, tra i bulloni dei ponti i docks e le gru colorate, i tanks arrugginiti e i mattoncini dell’East Side. L’aria di libertà é assicurata quanto quella di una metafisica leggera.

Giorgio Barassi